La clausola di prelazione societaria

Definizione

Con clausola statutaria di prelazione si intende quel particolare espediente, assai diffuso nella compilazione degli statuti societari, attraverso il quale si impone al socio che intenda alienare la propria partecipazione l’obbligo di consentirne, a certe condizioni, l’acquisto ad altri soggetti individuati dalla clausola stessa.

L’adozione di siffatte clausole, in fase di costituzione, così come per effetto di una modifica statutaria, corrisponde generalmente all’esigenza di monitorare ed, eventualmente, impedire l’ingresso nella società di soggetti estranei, senza peraltro precludere al singolo socio la possibilità di dismettere la propria partecipazione.

In secondo luogo, la clausola di prelazione può essere uno strumento utile volto ad evitare imprevedibili variazioni della compagine societaria.

Tipologie di clausole

Le clausole di prelazione possono assumere una duplice connotazione.

Si parla di prelazione propria o pura con riferimento a quelle clausole – la cui legittimità è tendenzialmente indiscussa – che attribuiscono ai soci attuali il diritto di essere preferiti, in caso di alienazione della partecipazione sociale, rispetto ai terzi che abbiano formulato un’offerta dal contenuto analogo, sulla base delle indicazioni contenute nella denuntiatio.

L’elemento che tradizionalmente caratterizza la clausola di prelazione è la parità di condizioni, ovvero la perfetta coincidenza che deve esservi fra:

  • l’offerta che il socio che intende trasferire la propria partecipazione fa al (o riceve dal) terzo che ne programma l’acquisto
  • e l’offerta che il socio alienante deve fare agli altri soci, titolari del diritto di prelazione in base alla clausola statutaria.


Qualora, invece, la prelazione sia impropria o impura, il socio che intenda alienare le proprie azioni o quote dovrà innanzitutto offrirle preventivamente agli altri soci.

In caso di disaccordo sul prezzo, soccorreranno i criteri e parametri preventivamente stabiliti nello statuto per effettuare la valutazione, con conseguente venir meno della parità di condizioni.

Considerato inoltre, che il prezzo offerto al socio prelazionario non è identico a quello offerto dal (o al) terzo, ma è quello che risulta determinato o determinabile sulla base di elementi diversi, indicati nella stessa clausola, in genere all’esito dell’intervento di un terzo che operi come arbitratore.

Clausole di prelazione impropria e clausole di mero gradimento

La validità delle clausole di prelazione impropria è generalmente condivisa alla luce del dettato dell’art. 2355 c.c. in quanto, pur comportando una parziale deroga al principio della libera circolazione dei titoli societari, esse in linea di principio non implicano conseguenze così gravi come quelle che potrebbero derivare dalla stretta osservanza di una clausola di mero gradimento.

La clausola di mero gradimento consente infatti di negare l’ingresso di terzi in società sulla base di giudizi discrezionali ed immotivati, subordinando l’acquisto della qualità di socio e dei diritti conseguenti ad un’espressa approvazione da parte di un organo societario preventivamente individuato.

Il rischio connesso a tale tipologia di clausola è quindi quello di concretizzare una situazione peculiare in cui il socio di fatto non è in grado di vendere la propria partecipazione, in quanto nessun potenziale acquirente risulta “gradito” e, pertanto, egli rimane “prigioniero del suo titolo”.

Infine, si ritiene che, allorché la clausola di prelazione impropria quantifichi esplicitamente il prezzo, manifestamente irrisorio cui il socio dovrà offrire in prelazione la propria partecipazione, di fatto essa avrà come scopo primario quello di attuare, mediante l’utilizzo di un diverso nomen iuris, un effetto pratico non differente da quello proprio di una clausola di gradimento meramente discrezionale.

Disancorare il prezzo di vendita dal reale valore patrimoniale della quota o dell’azione significa, invero, procurarne l’incommerciabilità di fatto e, conseguentemente, determinare la perdita di ogni convenienza al trasferimento della partecipazione stessa.

Validità della clausola di prelazione impropria

Qualora la stima del corrispettivo della cessione della partecipazione venga affidata, in caso di supposta eccessività dell’offerta, ad un soggetto terzo, si ritiene che venga salvaguardato:

  • l’interesse della società a conservare l’omogeneità della compagine sociale;
  • l’interesse dell’alienante alla percezione di un corrispettivo adeguato, grazie alla previsione di un meccanismo imparziale di determinazione del prezzo.
 

La giurisprudenza e la dottrina dominanti sono orientate nel senso di riconoscere efficacia reale al patto di prelazione inserito negli statuti delle società di capitale, inteso come patto sociale idoneo a vincolare, in virtù del regime di pubblicità garantito dal Registro delle Imprese, non solo tutti i soci attuali, ma anche i futuri terzi acquirenti della partecipazione sociale altrui.

Effetti della sua violazione

Qualora il socio si determini ad alienare le proprie quote o azioni omettendo di osservare la procedura contemplata dalla clausola statutaria di prelazione, il relativo atto traslativo è quindi connotato da un’inefficacia relativa.

In altri termini, la cessione avvenuta in violazione della clausola sarebbe perfettamente valida tra le parti contraenti (socio alienante e terzo acquirente) pur non essendo opponibile alla società.

Conseguentemente il terzo, divenuto titolare delle quote o delle azioni comprate, non potrebbe in linea teorica essere iscritto nel libro dei soci, né tanto meno esercitare i diritti conseguenti.

In tali casi, secondo la prevalente tesi, il socio prelazionario pretermesso sarebbe legittimato ad agire in giudizio allo scopo di far valere l’inefficacia del trasferimento nei confronti della società e ad ottenere una pronuncia dichiarativa che ripristini la situazione di fatto preesistente all’alienazione stessa.

L’opponibilità della clausola di prelazione al terzo acquirente comporterebbe quindi l’inefficacia assoluta, verso i soci pretermessi e verso la società, dell’atto di trasferimento effettuato in violazione della clausola.

Si esclude, tuttavia, che il socio pretermesso sia legittimato a riscattare dal terzo acquirente la partecipazione trasferita in violazione della clausola di prelazione, salvo che tale diritto potestativo venga espressamente riconosciuto dalla clausola stessa.

In ogni caso, come si è detto, l’atto di trasferimento compiuto in violazione della clausola di prelazione, per quanto inopponibile alla società ed ai soci pretermessi, sarà invece efficace inter partes, sicché il terzo acquirente godrà esclusivamente della cosiddetta tutela obbligatoria che gli consentirà di esperire un’azione risarcitoria nei confronti dell’alienante, con esclusione di qualsivoglia prerogativa o diritto nei confronti della società.

L'autrice

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Chiara Cognetti

Sono un avvocato civilista e mi occupo di consulenza legale giudiziale e stragiudiziale in diritto commerciale e in diritto della moda.
Ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca.
I miei Clienti spesso mi definiscono “chiara, di nome e di fatto”, oltre che precisa e tempestiva.

Chiara Cognetti

Sono un avvocato civilista e mi occupo di consulenza legale giudiziale e stragiudiziale in diritto commerciale e in diritto della moda.
Ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca.
I miei Clienti spesso mi definiscono “chiara, di nome e di fatto”, oltre che precisa e tempestiva.